Dedicato ai feticisti del turnover. Martedì, in Coppa Italia con il Pordenone, Spalletti aveva lasciato fuori nove titolari, salvo inserire, a piccole rate, Brozovic, Perisic e Icardi. Morale: 0-0 e vittoria ai rigori.
Veniva, l’Inter, dallo dispendioso pareggio dello Stadium e attendeva a piè fermo l’Udinese. Ecco perché il mister aveva raschiato il fondo della rosa. A San Siro sarebbero tornati, come si dice a Napoli, i titolarissimi. E difatti sono tornati. Morale: Inter uno Udinese tre. Prima sconfitta, addio «verginità ».
Ma allora, il turnover? Non avrebbe dovuto agevolare fame e freschezza? Calcio, mistero senza fine bello. E buffo. Con il Pescara, Oddo non aveva mai vinto in serie A, se non a tavolino (Sassuolo). Con l’Udinese è già al quarto successo di fila, coppa compresa. Come ha vinto? Con le stesse armi, catenaccio e contropiede, che, se impugnate dalle Grandi, diventano muro elastico, densità , linee semoventi, eccetera eccetera.
Lasagna, poi subito Icardi, quindi De Paul su rigore-Var e Barak. Concettualmente, l’Inter ha retto e dominato un tempo. Alla distanza si è allungata, troppo devota alla sua forza e troppo sicura nei cedimenti altrui.
Se è vero che Skriniar ha timbrato la traversa sull’1-2, è vero, altresì, che già in avvio di ripresa Handanovic aveva disarmato Lasagna. Un’Inter strana, nella quale Candreva sembrava ora De Bruyne e ora un’ala qualunque, Perisic e Brozovic (soprattutto) uscivano ed entravano dal gioco nel segno di una scuola, la scuola della ex Jugoslavia, che deve proprio a queste oscillazioni un albo d’oro così scarno; Icardi focoso ma isolato; e la scatola difensiva, una zona pedonale improvvisamente aperta alle auto.
Fortuna e tiri a volte si fidanzano e a volte no. Un k.o. in 17 partite non è una bomba, è un petardo. Però di rumore ne ha fatto.